Messaggio per la Giornata della Commedia dell'Arte 2016

[Each year a person associated with the tradition of Commedia dell'Arte is invited to write a special message in honor of Commedia dell'Arte.  The message is translated and read at events around the world as well as published in newspapers and presented on radio and TV.]

 

MESSAGGIO DA COMMEDIANTE A COMMEDIANTE
IN NOME DELL’ARTE

dedication by Antonio Fava

 

 

 

       Un saluto a tutti i Commedianti, Attori Teatrali Professionisti per eccellenza. Siamo vicini ai cinque secoli di continuità dell’Arte, dell’Improvvisa, dell’Italiana, della Zannesca, della Mercenaria. E via così. Mutio con la sua Compagnia era attivo in Europa nel 1538. Non è un inizio il 1538 dunque, è una continuazione. Insomma, io calcolo l’inizio del Teatro Professionale agli inizi degli anni Trenta del Cinquecento. Ci siamo quasi ai botti del mezzo millennio di continuità.
       Un caloroso saluto amfimillenario e continuativo a tutti i Professionisti dell’Arte.
       Professione e Professionismo sono i contenuti della parola Arte nella locuzione Commedia dell’Arte. Dove Commedia sta per Teatro, essendo, nel Cinquecento, la parola ‘teatro’ una parola dai molti significati. Con Commedia si indica con esattezza l’attività di un attore davanti al pubblico. Tale attività è Arte, ossia mestiere, ossia lavoro retribuito, dovrà pur essere organizzata. L’idea è, nel 1530, assolutamente nuova, mai udita, mai vista prima. Dunque? Inventare chi compra il prodotto dopo averlo inventato.
       Non c’è professionismo senza le condizioni professionali da noi volute inventate e divulgate. Ci si rivolge ad un signorone o signorotto (poi addirittura ai re e alle regine), per disporre di un pubblico, per essere pagati, per avere le condizioni migliori possibili onde essere gli attori migliori possibili. Nascono così i primi teatri. La ‘strada’ non è mai stata una vocazione, è stata, specie agli inizi, un rimedio in mancanza d’altro. La Commedia inventa letteralmente il luogo deputato, il teatro. È lì che il Professionista dà il meglio di sé. È l’avvio del Teatro Professionale Moderno ed è Universale.
       Commedie, Drammi, Pastorali, Boscherecce, Marinaresche, Piscatorie, Opere Eroiche, Opere Regie, sono fabule di tre o quattro o cinque atti, con scene, costumi, accessori, effetti d’ogni tipo, macchine a volte  molto complesse, con non meno di dodici e fino a venti, ventiquattro Professionisti, tutti protagonisti poiché tutti maestri nel proprio personaggio che portano con sé durante tutta la loro vita professionale.
       Una fabula comica, il genere più breve, non durava mai meno di tre ore di spettacolo effettivo, con altre intrusioni spettacolari negli intermezzi per mantenere attento un pubblico ancora giovane e inesperto di fronte a tali eventi.
       Commedia dell’Arte deve dunque significare “sistema produttivo di diverse forme e generi di spettacolo teatrale e l’organizzazione tecnica ed economica di tutto questo”. Tutto questo per strada? Via …
       La più antica espressione professionale  per significare “recitare” o “si recita” o “si va in scena”, viene dal linguaggio dell’Arte, è in italiano ed è “andare in stanza”, o “in stanzone”. All’interno dunque.
       Teatro. Sempre Teatro. Fortissimamente Teatro. Teatro come Arte. Come Professione. Come Luogo. Come Organizzazione. Profonda passione. Irrinunciabile forma di approccio con la vita. Gli autentici e profondamente appassionati spettatori divoratori di teatro è così che ci vedono ed è così che ci vogliono vedere.
       Oggi? In Albione, nel nome del Bardo, tutto ciò che è teatro, per epoche stili, autori, forme, tradizioni, lingue e provenienze, è appoggiato, aiutato, promosso e non manca il Pubblico, anzi abbonda. Gli inglesi e tutti i sudditi di Sua Maestà Britannica, sono quelli che fanno meglio di tutti, nel pubblico come nel privato.
       I Cugini transalpini, nel nome di Molière, fanno bene, anche se non benissimo.
       I Cugini trans-pirenaici, nel nome di Lope, qualcosa la combinano.
       E i cugini dei cugini, gli italiani? I più universali, perché “hanno creato un mestiere e l’hanno  insegnato al mondo”, che fanno? Da primi, ultimi. Ma la Storia non si cancella, i meriti storici ci sono tutti e sono ottimi e abbondanti. Andatene fieri. Attenzione però: ALTA PROFESSIONALITÀ. E niente fanfaronate. Andatene fieri a ragion veduta, con buona, anzi eccellente preparazione e alta professionalità, con l’evidenza delle capacità, meritando di esserne fieri.
       Non si fanno copie di plagi di cloni con la scusa della ‘disciplina comune’: come in tutte le discipline bisogna affermare la propria personalità artistica, la propria originalità.
       Non si va in giro a fare i simpaticoni che strologano tutto lipperlì.
       Non si alimenta la cultura della riproduzione, dello stampino, della caricatura, del gioco facile e del luogo comune. E nemmeno si va a fare gli strani, gli stravaganti, i mostri, gli elfi, i diavoletti, gli alieni.
       La poetica dell’Arte viene dalla cruda realtà. La forma è spettacolare. L’insieme, la struttura della Commedia, è drammaturgia. Si va in scena preparatissimi. Non uno spiffero.
       Quando diciamo Commedia dell’Arte, ci impegniamo a rispettarne la storia, quella documentata, la tradizione, quella documentata. Solo dopo si è liberi d’esser liberi, ossia creativi. Non senza la più ferrea e profonda preparazione. Non si reinventa la Storia. Non si fa “chello ca passa p’a capa” per poi dire “Questa è Commedia dell’Arte”.
       Quella che oggi è una superstizione, tanto per fare il più trascurabile degli esempi, ha un’origine ben più concreta e significativa: il viola è il colore della dignità vescovile. I vescovi erano i veri signori e padroni del territorio e non sempre lasciavano in pace le Compagnie dei comici professionisti. Le angariavano, impedivano loro di andare in scena, le costringevano ad andarsene. Non sempre. Capitava. Ma era abbastanza perché le Compagnie temessero l’autorità dei vescovi e la detestassero: l’eliminazione, lo sfratto dalle scene professionali del simbolo dell’autorità vescovile fu la risposta simbolica, a modo suo fiera e prode, alle prevaricazioni dei vescovi sceriffi. Voi, qui sopra, su queste tavole, non ci venite. Sfrattati. Fuori.
       Oggi questa storia del colore viola (spesso confuso col malva) è decaduta a superstizione, pura e semplice. Molte cose della Commedia hanno subíto, stanno subendo, una simile metamorfosi. Idealizzazioni (semplificazioni) come la ‘strada’, il ‘personaggio unico e assoluto’, ‘l’improvvisazione come fine ultimo’, il ‘viaggio come vagabondaggio senza mèta ’ … povera Arte, povera Professione, non è mai stata nulla di tutto ciò. Ma il neoromanticismo che domina una certa commediola di oggi sembra voler dominare e determinare il futuro della Zannesca o Mercenaria o Improvvisa o Italiana cioè dell’Arte. Correggiamo il tiro, colleghi.
       A proposito della data, di quel 25 febbraio 1545. In tale data la Zannesca aveva già non meno di dieci anni di esistenza, forse di più. La data, oggi ormai “mitica”, lo è perché è considerata come la prima data certa, quella di “nascita” dell’Improvvisa. Così non è, perché è certo anzi certissimo il 1538 del capocomico Mutio. E tutto comincia prima di quell’anno.  Dunque? Io non sono un appassionato della voga ‘Giornata Mondiale di Questo e di Quello’, la cui ridondanza di un giorno è seguita dal silenzio annuale. Tutti i giorni di tutto l’anno e di ogni anno sono, per noi Professionisti, giorni della Commedia.
       Mi piace augurare l’in bocca al lupo nel suo significato originario, che proviene dal mondo della caccia, dove farsi mangiare dal lupo è un augurio necessario. Noi cacciatori, superstiziosi irriducibili, vogliamo l’augurio dal significato opposto a ciò che vogliamo ottenere perché, superstiziosamente, sappiamo che accadrà il contrario di quanto augurato. In un mondo oscuro e infestato dai lupi, ci si àuguri di essere divorati dai lupi se vogliamo che ciò non accada. Questa frase, superstizione compresa, è passata dal mondo dei cacciatori a quello del Teatro professionale. Nel significato dell’augurio di un fiasco perché sia un successo. I vari “crepi” e altre varianti, sono aggiunte successive dalle quali, ancora una volta, si evince che i significati originari sono andati perduti. Per non parlare delle spiegazioni animaliste che circolano di questi tempi, con mamma lupa, il lupacchiotto, lo prende in bocca con affetto, ecceterina, ecceteruccia.
       Destino prospettato, a causa delle attuali mode, alla Grande Commedia, che rischia di ridursi a commediola, sbattuta in quella strada dalla quale si è, da sempre, affrancata.
       Infine, Amici e Colleghi, la più bella, semplice, musicale, amichevole, gioiosa parola della lingua italiana, tanto breve e tanto efficace, che letteralmente significa ‘schiavo’, è Ciao.
       Amici e Colleghi in Arte, a tutti Ciao e In Bocca al Lupo.

AF